STORIA DEL DIACONATO
a. La diaconia dell’esistenza cristiana
Con l’incarnazione del Verbo che è Dio e mediante il quale tutto è stato fatto ( cf. Gv. 1,1-18 ) si è realizzata la rivoluzione più inimmaginabile il kyrios è divenuto il diakonos di tutti.
In questa prospettiva cristologica si può cogliere l’essenza del vivere cristiano, cioè partecipare alla diaconia che Dio stesso ha compiuto per e verso gli uomini.
La diaconia della vita conduce alla comprensione e al compimento dell’uomo.
Essere cristiano significa, sull’esempio di Cristo, mettersi al servizio degli altri sino al dono di sé, per amore.
Il diakonein è la caratteristica essenziale del ministero di apostolo, il diakonein si esprime nel fondamento sacramentale dell’essere cristiano.
Dunque con Cristo il servizio verso gli altri e il dono di sé, per amore, diventano la regola di vita cristiana , in questo senso possiamo dire che ogni cristiano è diacono.
Partendo da questo fondamento, in questo breve lavoro cercheremo di vedere a partire dai testi del Nuovo Testamento ,come e perché questo carisma di diaconia universale che rimane , per alcuni sia diventato un carisma particolare.
b. Il diaconato nel Nuovo Testamento
La parola diakonos è quasi assente nell’Antico Testamento, contrariamente all’uso abbondante del termine presbyteros.
La Bibbia latina (Vulgata ) traduce la parola diakonos con minister o con diaconus traslitterando il termine greco.
Nella Vulgata troviamo tre volte l’uso del termine diaconus[1], mentre in tutti gli altri casi, il termine, viene tradotto con minister[2].
Il primo dato pertinente e fondamentale che si può notare nel Nuovo Testamento è che il verbo diakonein indica la stessa missione di Cristo che si presenta come colui che è venuto per servire.
Nelle primissime comunità cristiane non c’è nessuna traccia del diaconato come ministero specifico, solo in un secondo momento con lo sviluppo per così dire “istituzionale” e “numerico” delle comunità delle origini, si incomincia a distinguere un aspetto apostolico di proclamazione della parola dall’aspetto diaconale di aiuto reciproco.
A questo proposito ,uno dei testi fondamentali è quello di At 6,1-6 nel quale l’evangelista Luca , presumibilmente verso gli anni 90 del I secolo riferisce della fondamentale distinzione di ruoli.
Luca ci presenta una diaconia della “parola” e una diaconia delle “mense”, che sono una diversificazione dell’unica diaconia di Cristo, la quale rende “diaconale” ogni ministero ecclesiale compreso quello degli apostoli.
Questa evoluzione verso ministeri particolari, tra cui quello di diacono, deriva non da una necessità teologica, ma da una necessità organizzativa delle comunità nascenti.
Così, da una responsabilità diaconale di insieme, condivisa da tutti, l’organizzazione ministeriale delle Chiese evolve verso compiti specifici organizzati e animati da alcuni.
Alla struttura “carismatica” delle prime comunità paoline si affianca una struttura “istituzionalizzata” come necessità per rispondere alle nuove necessità delle Chiese sempre più numerose per numero e fedeli.
Questo procedimento storico è percepibile nelle lettere deuteropaoline (Efesini e Filippesi) e pastorali (1 e 2 Timoteo, e Tito)[3] , nelle quali si esprimono insistenti preoccupazioni di ordine ecclesiologico e pratico.
Risulta fondamentale rilevare come l’imperativo diaconale del messaggio apostolico sin dalla fine del I secolo, sfoci nell’istituzione di un ministero specifico personalizzato e, ordinato tramite l’imposizione delle mani da parte degli apostoli..
Questo ministero così istituzionalizzato, risale verosimilmente all’ultimo quarto del primo secolo. [4]
Verso la fine del I secolo, o al primissimo inizio del II, il ministero diaconale della solidarietà materiale si istituzionalizza nelle Chiese, in quanto funzione, accanto al “ministero della Parola” (“diaconia della Parola”, secondo i termini di At 6,1-6). Questo binomio ministeriale determina da allora l’organizzazione di tutte le chiese di cui ci parlano i documenti. E Luca ci informa che, senza la diversificazione di queste due funzioni, le Chiese sarebbero rimaste nell’incapacità pratica di perseguire la loro duplice missione, apostolica e caritativa. Possiamo concludere che il ministero specifico di diacono, distinto dal ministero della Parola, risale alla fine dei tempi apostolici.
Stabilito così il suo apparire storico, si pone il problema di sapere cosa alle origini definisca, da un punto di vista ecclesiale questo ministero. Nonostante la diversità ecclesiologica delle Chiese neotestamentarie, a guisa di risposta si possono rilevare tre motivi specifici: la sua qualificazione ministeriale, il suo luogo di impegno, le sue funzioni (o i suoi compiti) .
Primo: la sua qualificazione
Il testo di At 6 permette di definirne l’importanza iniziale, del ministero diaconale.
Nello spazio di un paio di decenni il diaconato diventa un ministero con vocazione particolare e con consacrazione mediate l’imposizione delle mani. Questa qualificazione che gli è attribuita dal bisogno contestuale e dal rigore d’organizzazione, non dalla necessità teologica, gli conferisce nello stesso tempo un particolare statuto, professionalmente distinto dalla responsabilità diaconale dell’insieme dei battezzati. I diaconi sono messi da parte, consacrati, ordinati come il ministro della Parola, e lo sono a titolo permanente.
Secondo: il suo luogo di impegno.
E’ definito dal simbolo della “mensa”, il suo luogo di chiamata e di professione è l’aiuto reciproco materiale, le necessità di condivisione dovute ai contesti di vita delle differenti chiese. Il suo luogo non è la proclamazione apostolica fondatrice delle Chiese, ma il servizio caritativo nei suoi numerosi aspetti, nelle situazioni mutevoli della storia delle comunità.
Certo, il fatto che esso sia secondo in rapporto al ministero della Parola e che il suo luogo sia così subordinato cronologicamente all’apostolato, lo pongono alla mercè dei bisogni congiunturali e della scarsità dei pastori; sin dai suoi inizi.
Poiché i compiti diaconali, di ordine interno e materiale, sono sempre variabili, è impossibile definire in modo più preciso, secondo i testi della scrittura, l’elenco dei compiti.
A compiti di per sé apostolici descritti da Luca in Atti 6 ( Stefano e Filippo evangelizzano come degli apostoli ) si affiancano il “servizio delle mense” e l’aiuto caritativo in generale.
E’ necessario far menzione qui dell’importanza vitale dell’alimentazione e della convivialità nella società antica.
Nelle chiese, fin dal loro nascere, il pasto ha un’importanza fondamentale, sotto la forma eucaristica e sotto quella agapica.
Scrive Claude Bridel: “uno dei centri di interesse del diaconato delle origini risiede nella simbiosi che esso tenta di esprimere, sulla base della nozione di servizio, tra la funzione liturgica e l’azione concreta. Servire coloro che celebrano e servire coloro che soffrono, è tutt’uno per il diacono.”[5]
Accanto a questa funzione primaria egli potrà collaborare a compiti missionari.
Nel suo sviluppo, come vedremo negli scritti dei padri il ministero diaconale diventerà nello stesso tempo caritativo e liturgico.
Il ministero di diacono sarà dunque consacrato al compito caritativo della Chiesa, affinchè questa aderisca alle necessità del tempo in modo conforme all’insegnamento ricevuto da Cristo.
c. Il diaconato nella chiesa antica
Gli storici sono soliti fissare intorno all’anno 100 gli inizi di quella che definiscono globalmente "Chiesa antica".
Nelle Chiese dei primi due secoli, la celebrazione eucaristica ha luogo nella cornice di un banchetto di comunione e di condivisione.
Tutti i membri vi portano gli alimenti secondo le loro possibilità, pane vino, ma anche olio, formaggio, olive, frutta, legumi e persino fiori.
L’offerta di questi doni è liturgicamente integrata alla festa.
E’ compito dei diaconi di raccoglierli, inventariarli, selezionarli per il pasto eucaristico, e provvedere poi a re-distribuire le rimanenze ai bisognosi come segno concreto di prolungamento della condivisione dei beni compiuta durante la celebrazione.[6]
E’ all’interno di questa prospettiva teologica della povertà che bisogna comprendere il compito liturgico proprio dei diaconi, che è portare il mondo e la sua quotidianità.
Liturgicamente i diaconi si presentano in Gesù Cristo come segni di salvezza, come prova della misericordia di Dio per tutti espressa nella condivisione reale e quotidiana con i fratelli.
Questo momento particolare tipico della funzione diaconale nell’eucarestia prende il nome di offertorio.[7]
E’ Giustino nella sua Apologia, intorno al 150 , a presentarci la descrizione di questo momento dell’eucarestia : “ dopo che il presidente ha reso grazie e tutto il popolo ha confermato acclamando, quelli che da noi sono chiamati diaconi fanno partecipi ciascuno dei presenti al pane e al vino e poi portano questo cibo a coloro che non sono presenti.”[8]
Nel corso del secondo e terzo secolo il ministero diaconale ordinato consolida le sue acquisizioni.
Questo breve studio storico sul diaconato permanente nella chiesa della antichità penso possa essere considerato sotto tre aspetti al fine di definirne il suo ministero.
In primo luogo il suo campo di attività; che dovrebbe essere essenzialmente caritativo.
In secondo luogo questo afflato caritativo; che deve trovare un impatto nel cuore della vita comunitaria, in particolare nel culto domenicale e nella sua liturgia.
In terzo luogo; per essere ecclesiale, questo ministero deve essere ordinato, cioè deve essere istituito e riconosciuto come ministero integrante del ministero globale della Chiesa, essere basato su di una vocazione personale, e consacrato dall’autorità della Chiesa, secondo il rito della imposizione delle mani.
Questi tre criteri e cioè, la carità la liturgia e l’ordinazione emergono come criteri di definizione del diaconato sia dai testi biblici sia dai testi patristici nonché dalla storia della Chiesa delle origini e dell’antichità.
Tuttavia proprio mentre sembra che il diaconato permanente abbia raggiunto una definizione sua propria si assiste, alla vigilia dell’epoca medievale, ad un rapido svuotamento della sua funzione.
La sua qualificazione ministeriale viene ridotta a uno scalino subalterno di accesso al presbiterato.
Il diacono diventa transeunte e non più permanente, perde cioè la sua funzione originaria e originale.
d. il diaconato nella chiesa medievale
Con la caduta dell’impero romano, con la confusione causata dalle invasioni barbariche la Chiesa tende sempre di più ad istituzionalizzarsi , a normarsi ed a crearsi una organizzazione efficiente.
In questo contesto , il ministero di diacono viene a poco a poco svuotato, non soltanto dal punto di vista della sua specificità teologica, ma anche nelle sue funzioni pratiche.
Perde la sua originalità man mano che nelle sue funzioni si attenua il primato del caritativo.
La progressiva gerarchizzazione dei ministri e dei ministeri subordina il servizio diaconale alle necessità dei vescovi e dei presbiteri.[9]
Possiamo affermare che la funzione del diacono si restringe man mano che si rafforza la gerarchia ministeriale.
I testi riassumono la trasformazione affermando che : “ il diacono sarà al servizio del vescovo e dei presbiteri, cioè presterà servizio, ma non compirà altre funzioni”[10]
Il ministero di diacono viene sempre definito nei tre aspetti: caritativo, liturgico e di assistenza al vescovo; il tutto però viene prioritariamente determinato dalle esigenze del vescovo.
Scrive Bridel : “ la Chiesa che si struttura in occidente durante il periodo che va dal IV sec. all’epoca di Carlo Magno non sapeva che farsene del diaconato delle origini, anzi doveva sbarazzarsene.”[11]
Certo, la Chiesa in quanto istituzione si vede trascinata nelle mutazioni generali del tempo e per sopravvivere deve concentrare tutte le sue forze sulla sua organizzazione.
A tal proposito scrive Hamman : “ si comprenderà che non è il ministero caritativo, ma sono i ministeri di autorità a polarizzare l’attenzione, sia politica che spirituale.”[12]
Ma la responsabilità caritativa insita nel messaggio cristiano, ritroverà nel medioevo altre strade di realizzazione non legate a ministeri ordinati.
La diaconia viene riconosciuta come esemplare della vita cristiana , essere cristiano significa essere diacono, e questa necessità viene riconosciuta per tutti non solo per gli “ordinati”.
Un impulso fondamentale a questa nuova concezione viene dato dallo sviluppo del monachesimo , in particolare dopo la riforma monastica del X secolo operata a Cluny.
Nei secoli IX e X sboccia una nuova forma di diaconia il diaconato monastico.
In quanto struttura ecclesiale, il monachesimo conosce un successo prodigioso, si insedia dappertutto e introduce elementi di profonda innovazione nella cristianità.
Per tre secoli, la Chiesa d’occidente è il monachesimo,[13] e il centro della cristianità non è Roma ma Cluny.[14]
Il monachesimo sarà il motore della riforma medievale della chiesa nei secoli XI e XII.
Francesco d’Assisi diventa il diacono per eccellenza, ridonando al diaconato la sua connotazione spirituale caritativa, ma in quanto laico, al di fuori dell’ordine clericale.
Nei secoli XI e XII il monachesimo inserisce nel suo seno anche nuove forme comunitarie dette “fraternità”, improntate tutte sul servizio agapico e diaconale del prossimo.
In questo contesto la funzione caritativa e universale della diaconia prende il sopravvento su quella liturgica.
Alla fine del medioevo le autorità ecclesiastiche hanno reso possibile che il diaconato ordinato perdesse l’essenziale del suo carattere ecclesiale e ministeriale, e allo stesso tempo liturgico e caritativo. Trascurando l’unità all’interno di questa dualità, il diaconato avrà perduto da un punto di vista ecclesiale su due fronti, e questo nonostante il suo rinnovamento medioevale tra i laici.
Esso è rimasto confinato alle funzioni liturgiche in un ministero subalterno e poco significativo.
In altre parole: separando, il culto dalla pratica caritativa, la Chiesa ha reciso la diaconia dal suo fondamento iniziale. Il compito liturgico e il compito caritativo, allontanandosi l’uno dall’altro hanno teologicamente e praticamente provocato una giustapposizione conflittuale dei due compiti. Con un’analisi retrospettiva abbiamo potuto constatare che il diaconato medioevale è lontano dall’essere una semplice continuità senza slancio né originalità di ciò che esso era alla fine dell’antichità. Anche senza avere potuto approfondire lo studio dei documenti si verifica che il diaconato deve molto alla teologia medioevale. Infatti, senza i suoi riferimenti e le sue evoluzioni medioevali non potrebbe essere compreso nella sua realtà a venire. In altri termini: studiare il diaconato non è possibile senza ripercorrere in modo approfondito la storia medioevale. La deriva del diaconato avviene prima del medioevo.
A partire dall’VIII secolo si avvia un rinnovamento, emergono nuove forme comunitarie, culla di un diaconato ritrovato, non ordinato, ma legato ai diversi ordini religiosi (frati diaconi, monaci diaconi e cavalieri diaconi). Il popolo cristiano riscopre il diaconato sociale, la diaconia diviene lavoro sociale, pubblico e laico.
In rapporto alla questione del diaconato specificatamente ecclesiale è opportuno notare come questo ministero si sia scompaginato nel corso del medioevo. Se la sua connotazione caritativa ha conosciuto un progresso, ha tuttavia perduto il suo legame con i vescovi e i presbiteri; di conseguenza il suo carattere liturgico si è ancora più ristretto, al punto da far dimenticare ogni legame teologico tra la funzione solidale e la funzione liturgica.
Per quanto riguarda poi l’ordinazione, riguarda solo il ministero clericale e subalterno e visto come tappa verso l’ordine presbiterale.
Così, il diaconato ministeriale alla luce della riforma e del futuro concilio di Trento si può dire abbia perso quella funzione specificatamente permanente ed ecclesiale che avevamo potuto riconoscere nelle Chiese delle origini e antiche.
e. la sacramentalità del diaconato dal XII sec. al Concilio di Trento
Nel tracciare, seppur brevemente , una storia del ministero diaconale ordinato, mi sembra necessario affrontare storicamente anche il “problema della sua sacramentalità”.
Nelle testimonianze bibliche la sacramentalità del diaconato rimane un problema implicito.
Occorre vedere come la Chiesa ne ha preso coscienza esplicita.
Benché la sacramentalità possa avere un significato ampio e generico, in senso stretto essa si identifica con i sette sacramenti, segni visibili ed efficaci della grazia, tra i quali si trova il sacramento dell’ordine.
Il diacono e il presbitero figurano sempre tra gli ordines sacri del sacramento.
Pietro Lombardo (+1160) nel suo trattato De ordinibus ecclesiasticis afferma che il diaconato è un ordo o gradus officiorum.
Ora, benché tutti gli ordines siano per lui tutti sacri , sottolinea l’eccellenza del diaconato e del presbiterato i soli che esistevano già nella chiesa primitiva e che rispondono al precetto apostolico.
San Tommaso D’Aquino ( + 1273) afferma che solo il presbiterato e il diaconato possono rigorosamente essere considerati ordines sacri a motivo del loro rapporto particolare con l’Eucarestia come sacramentum sacramentorum.
I preti ricevono con l’ordinazione il potere di consacrare, mentre i diaconi il potere di servire i preti nell’amministrazione dei sacramenti.
Per Tommaso dunque è il rapporto con l’Eucarestia il criterio decisivo per stabilire la sacramentalità dell’ordine.
Durando di San Porciano ( +1334) rappresenta una linea dottrinale che compare spesso anche nel dibattito attuale.
Per lui l’ordinazione sacerdotale è “sacramento” mentre quella diaconale è “sacramentale”[15]
Ecco le ragioni della sua posizione:
· La distinzione in rapporto all’Eucarestia, tra il potere di consacrare (sacramento) e le altre azioni dispositive da considerare come semplici sacramentali.
· L’ordinazione sacerdotale concede un potere ad posse mentre quella diaconale ad licere.
Tuttavia egli considera anche il diaconato un sacramento della Chiesa in quanto viene acquisito , come del resto episcopato e presbiterato in imposizione manuum.
Il Concilio di Trento (1563) ha voluto definire dogmaticamente l’ordine come sacramento.
Di fronte alle negazioni dei riformatori, Trento dichiara l’esistenza di una hierarchia in Ecclesia ordinatione Divina .
E’ nella teologia generale del sacramento dell’ordine che si devono inserire i riferimenti di Trento al diaconato.
Un’attenzione particolare merita il can 6 che recita: “ si quis dixerit in Ecclesia catholica non esse hierarchicam, divina ordinatione institutam,quae constat ex episcopis,presbyteris et ministris” .
L’attenzione cade sul termine ministris termine usato nella formulazione definitiva del canone approvato il 14 Luglio 1563, perché nella bozza iniziale il vocabolo usato era aliis ministris .
La storia sembrerebbe comprendere una comprensione ampia del termine ministri, termine che includerebbe i diaconi e corrisponderebbe a una divisione tripartita della gerarchia : “praecipue episcopi, deyinde praesbyteri,diaconi et alii ministri”
Dunque si può affermare con sicurezza che Trento include i diaconi nel novero dei ministri ordinati.
A tal proposito si veda il capitolo 17 della sessione XXIII del 15 Luglio 1563 che così recita : “ affinché le funzioni dei sacri ordini del diaconato, lodevolmente in vigore fin dall’epoca apostolica, e cessate da tempo in molti luoghi, possano essere richiamate in uso secondo i sacri canoni, e perché non siano dichiarate inutili dagli eretici, il Sacro Concilio. desiderando ardentemente il ripristino dell’antica disciplina, decreta che in avvenire detti ministeri siano esercitati solo da coloro costituiti nei rispettivi ordini: esorta e prescrive nel Signore che tutti i singoli prelati delle Chiese, per quanto opportunamente può essere fatto, abbiano a ripristinare simili funzioni nelle Chiese Cattedrali, collegiate e parrocchiali della propria diocesi.”
Dopo il Concilio di Trento , nella teologia dei secoli XVI e XVII si sostiene quasi unanimemente la sacramentalità del diaconato.
La posizione di Roberto Bellarmino (+1621) descrive bene qual è lo status questionis di quel momento.[16]
Egli stabilisce come principio fondamentale ,la sacramentalità dell’ordine “vere ac proprie sacramentum novae legis”, ma circa la sacramentalità di ciascuno degli ordini, crede necessario fare una distinzione.
La sacramentalità del diaconato è molto probabile, mentre quella episcopale sacerdotale è un’assertio certissima.
Risulta indubbia la volontà del Concilio tridentino di voler rilanciare il ministero di diacono permanente, tuttavia altrettanto certa è la considerazione che questa volontà risulterà disattesa.
Sarà il Concilio Vaticano II , come vedremo, a ridare un impulso decisivo al ministero del diaconato permanente.
Con il Vaticano II si può parlare di una vera e propria restaurazione del diaconato permanente.
CAPITOLO II
IL DIACONATO NEL CONCILIO VATICANO II
a. Il dibattito pre-conciliare
L’idea di ristabilire il diaconato come grado permanente della gerarchia non è nata durante il Concilio, ma circolava già prima del secondo conflitto mondiale, sviluppandosi ulteriormente dopo il 1945,soprattutto nei paesi di lingua tedesca.[17]
Una teologia rinnovata della Chiesa sorta dal contributo di numerosi movimenti biblici ecumenici e liturgici, aprì la possibilità al rinnovamento della funzione di diacono.
A partire dal 1951, in una Germania ancora scossa dal conflitto mondiale, nasce, fondata da Kramer la prima “Comunità del Diaconato”.
Questo organismo si diede il duplice compito di studiare e reintrodurre il diaconato permanente.
Un’altra comunità del diaconato viene creata a Monaco nel 1954 con l’appoggio del vescovo e del teologo K. Rahner .
La riflessione di quegli anni venne arricchita dallo storico protestante H.Krimm[18],oltre che dalla testimonianza di alcuni diaconi luterani.
Anche in Italia venne fondata una comunità del diaconato animata prima da don Dino Torreggiani e poi da don Alberto Altana.
Ad essa si deve fin dal 1968 la pubblicazione della rivista “il diaconato in Italia”.
Così, alla vigilia del Concilio, l’idea di ripristinare il diaconato era vivissima in ampi settori della Chiesa.
b. Il dibattito conciliare
Durante il primo periodo conciliare (1962), il problema del diaconato non richiamò molto l’attenzione come tema particolare, ma durante la prima intersessione (1962-63), un certo numero di Padri conciliari cominciarono a evocare la possibilità di un ripristino del diaconato permanente, alcuni segnalandone i vantaggi in campo missionario ed ecumenico, altri invitando alla prudenza.
La maggioranza di loro, però, più che dei problemi teorici si interessava di problemi pratici: affrontando soprattutto quello dell’ammissione di uomini sposati e le sue ripercussioni per il celibato ecclesiastico.[19]
Il Concilio discusse poi il capitolo sulla struttura gerarchica della Chiesa dal 4 Ottobre al 30 Ottobre 1963, ed in sede di quei dibattiti si è potuto chiarire meglio l’intenzione dei Padri conciliari a riguardo del ripristino del diaconato.
Tre interventi fatti il 8 e il 9 Ottobre 1963 dai cardinali Dopfner, Ricketts e Suenens possono essere considerati “fondanti” in quanto stabiliscono le direzioni e i parametri dottrinali e pratici del dibattito.
E’ opportuno notare come i Padri conciliari che hanno favorito il ristabilimento del diaconato permanente abbiano insistito sul concetto di “possibilità” e mai su quello di “obbligatorietà”.
Questo ristabilimento “può” avvenire nei tempi e nei luoghi ove l’autorità ecclesiastica lo ritenga opportuno.
Tuttavia il diaconato permanente viene ora considerato in grado di apportare molti benefici alle Chiese locali sia praticamente che pastoralmente.
Vediamone alcuni emersi chiaramente nel dibattito:
· Risolvere il problema della mancanza di preti nelle terre di missione
· Fornire supporto ai paesi dove la chiesa è perseguitata
· Migliorare le relazioni ecumeniche con quelle Chiese che hanno conservato tale ministero (in particolare con i protestanti)
· La promozione del diaconato può aiutare a mettere in evidenza la figura del presbitero
· L’ammissione all’ordine gerarchico di uomini sposati può mettere in evidenza anche il celibato
Sintetizzando, vengono fatte considerazioni su come il diaconato oltre a brillare di luce propria sia in grado di illuminare anche altri aspetti ecclesiali.
Alcuni Padri poi si soffermarono oltre che sul piano pratico su aspetti propriamente teologici.
Occupando un grado nella sacra gerarchia della Chiesa, il diaconato ha fatto parte della costituzione della Chiesa sin dall’inizio.
Il cardinale Dopfer affermò con forza: “schema nostrum, agens de hierarchica costituzione ecclesiae, ordinem diaconatus nullo modo silere potest, quia tripartitio hierarchie ratione ordinis habita in episcopatum, presbyteratum et diaconatum est juris divini et costituzioni Ecclesiae essenzialiter propria”
Dunque facendo rivivere il diaconato , il Concilio non avrebbe in alcun modo alterato gli elementi costitutivi della Chiesa, ma avrebbe soltanto reintrodotto ciò che era stato abbandonato.
I Padri conciliari insistettero molto sul fatto che il diaconato conferisce “grazia” e “carattere” propri agli ordinati.
Dunque non si deve considerare il diacono allo stesso modo di un laico al servizio della Chiesa, poiché il sacramento del diaconato conferisce una grazia per esercitare un ufficio particolare.
Così, un diacono non è un laico elevato al più alto grado dell’apostolato laico, ma un membro della gerarchi a motivo della grazia sacramentale e del carattere ricevuto al momento dell’ordinazione.
Ora i diaconi permanenti, poiché si supponeva vivessero e lavorassero in mezzo alla popolazione laica e al mondo secolare, potrebbero esercitare il “ruolo di ponte o mediazione tra la gerarchia e i fedeli”[20]
In queste riflessione vediamo delinearsi il ruolo di diacono in autonomia e non semplicemente come un gradino verso il presbiterato.
Il diaconato dunque come un ministero distinto all’interno della Chiesa.
Potrebbe così essere per la Chiesa un segno della sua vocazione ad essere la serva di Cristo, la serva di Dio.
La presenza del diacono, di conseguenza , potrebbe rinnovare la Chiesa in uno spirito di umiltà e servizio.
Il dibattito conciliare dunque ci fornisce essenzialmente quattro ragioni a favore del ripristino del diaconato:
I. La restaurazione del diaconato come un grado proprio dell’ordine permette di riconoscere gli elementi costitutivi della sacra gerarchia voluta da Dio, concependo gerarchia e ministero al di là della categoria del sacerdozio[21] ( i diaconi sono ordinati non ad sacerdotium ,sed ad ministerium.).
II. E’ una risposta alle necessità di assicurare la cura pastorale alle comunità che ne sono prive per mancanza di preti
III. E’ una conferma , un rafforzamento e una più completa incorporazione al ministero della chiesa di coloro che esercitano già de facto il ministero di diaconi grazie all’imposizione delle mani che ne fa corroborari et altari arctius conjungi.
IV. I Padri conciliari desiderano fare del diaconato permanente un ordine in grado di unire la sacra gerarchia e la vita secolare dei laici.
Ma ciò che più importa è che il Vaticano II ristabilisce il principio dell’esercizio permanente del diaconato.
Stabilito questo principio il dibattito rimane aperto perché in funzione delle future necessità pastorali ed ecclesiale , ma sempre nel rispetto e nella fedeltà della Tradizione.
In conclusione , l’apparente indecisione ed esitazione nel definire la figura del diacono, è funzionale e può servire come invito alla Chiesa perché continui a discernere il tipo di ministero più appropriato a tale figura attraverso la prassi ecclesiale, la legislazione canonica e la riflessione teologica.[22]
c. I testi conciliari
I testi definitivi del Vaticano II fanno menzione del diaconato in sei riprese
La costituzione sulla liturgia ( 4 Dicembre 1963)
La Sacrosantum Concilium evita di parlare espressamente di diaconato permanente, essa si limita a rilevare nel n.35,5 che, in mancanza del sacerdote diaconi o qualcun altro delegato del vescovo possono guidare celebrazioni domenicali incentrate sulla Parola di Dio.
La costituzione dogmatica sulla Chiesa (21 Novembre 1964)
Com’è noto il testo conciliare essenziale per quel che riguarda il diaconato permanente è il numero 29 della Lumen Gentium, dedicato alla costituzione gerarchica della Chiesa e specialmente all’episcopato e alla pienezza dell’ordine.
I versi dedicati al diaconato costituiscono una sorta di transizione verso il capitolo quarto dedicato al laicato, il che riflette un’opzione spesso espressa in occasione dei dibattiti antecedenti: il diacono è come il “ponte” fra i vescovi e i presbiteri da una parte e il resto del popolo di Dio dall’altra.
Più pratico che propriamente teologico, il n. 29 della LG comprende quattro parti. La prima presenta il diaconato come “grado inferiore” della gerarchia, e questo per la grazia dell’imposizione delle mani. Questa “inferiorità” si inserisce nel solco della Tradizione in rapporto al vescovo, al quale il diaconato è sottomesso, ma non rispetto al presbitero. Di fronte a quest’ultimo, piuttosto che evocare un “minore” potere globale, alcuni commentatori pensano alla situazione del diacono nella celebrazione eucaristica, dove il diacono non ha né la possibilità di presiedere né quella di consacrare il pane e il vino agendo “in persona Christi”.
Il testo contiene, poi, quell’affermazione distintiva che ancora oggi sta alla radice del diaconato quando dice che il diacono non è ordinato “per il sacerdozio (ad sacerdotium) ma per il servizio (ad ministerium)”. Ci si potrebbe stupire di questa distinzione tra “sacerdozio” e “ministero” se si dimenticasse che la designazione “per il servizio” è improntata sulle Costituzioni della Chiesa egiziana, documento antico ripreso nel Ponteficale romano fino al 1950. Questi due testi riassumono una formula ancora più antica, presente nelle Tradizioni apostoliche che parlavano proprio del “servizio del vescovo” come compito peculiare del diacono. L’esclusione del “sacerdozio” in LG indica indubbiamente che il diaconato restaurato non è una tappa verso il presbiterato, la formula suggerisce soprattutto che il diacono non è “prete” nel senso consacratorio del termine, in quanto ciò che ne caratterizza la natura e le funzioni è “il servizio”. Questo termine, ampio ed ambiguo allo stesso tempo, applicabile in senso lato ad ogni vocazione cristiana, deve essere inteso sempre in relazione al del Cristo Servo, che ha fatto del dono di sé il modello e l’esempio della vera diaconia ministeriale.
La frase successiva nel testo indica che alla base del ministero diaconale c’è “una grazia sacramentale” che discende direttamente dal sacramento dell’ordinazione. L’effetto di questa grazia è, per analogia con la Confermazione, quello di procurare una “forza” per un servizio che – si precisa qui – è quello del Popolo di Dio e non, prima di tutto, del vescovo. Il servizio diaconale, piuttosto che presentarsi come un “potere” o di ridursi ad un “mandato”, esige una forza interiore, una capacità di perseverare in un servizio che si dispiega “in comunione col vescovo e col suo presbiterio” per il bene di tutta la comunità dei credenti. La messa in atto della forza sacramentale non può dunque concepirsi e viversi se non in solidarietà e in armonia con gli altri due ministeri ordinati, ossia nel dinamismo vivo ed efficace della comunione ecclesiale.
Il passo successivo, senza pretendere di essere esaustivo, menziona alcuni ambiti di esercizio del servizio diaconale fra loro strettamente legati: alla liturgia, coronamento a fonte delle altre funzioni, seguono il servizio della Parola e la carità, intesa quest’ultima nel senso dominante nell’antichità cristiana di vigilanza attiva finalizzata alla condivisione fraterna nella comunità.
Quanto alle modalità concrete, il testo nota che è l’autorità “qualificata” (competens) – senza dubbio gli ordinari locali – che ha il compito di organizzare praticamente le attività del diacono. Ciò per indicare ancora una volta che i compiti enumerati sono altrettante possibilità aperte e non vanno intesi come un inventario di “diritti” – magari esclusivi – che un diacono potrebbe rivendicare di fronte al vescovo o ad altri ministri.
Dieci compiti liturgici vengono menzionati, mentre due soltanto scaturiscono direttamente dall’ambito della Parola. Tra i primi il testo cita innanzitutto il battesimo e la valorizzazione dell’Eucarestia; il matrimonio, il viatico, il “culto”, la preghiera, i sacramenti e le esequie sono richiamati subito dopo, seguiti infine dai doveri (officia) della carità e dell’amministrazione, chiaramente distinti. A proposito di queste due ultime missioni, il testo fa riferimento ad un’affermazione di Policarpo , che, partire dal II secolo, esigeva che esse fossero compiute con “misericodia e zelo”, sulle orme del Signore che si è fatto servo di tutti.
L’ultima parte si situa più ad un livello disciplinare. Comincia col richiamare una delle ragioni primarie della restaurazione del diaconato permanente, che si radica nella vitalità stessa della comunità, per poi indicare chi dovrà giudicare dell’opportunità di una restaurazione ed il criterio essenziale per realizzarla, la cura animarum. Non è dunque questione di svolgere questo ministero col solo scopo di “completare” il clero o fornire ai ministri esistenti degli ausiliari soprannumerari, ma piuttosto di rispondere a bisogni che attingono la vita stessa della comunità cristiana.
Tramite il consenso del Papa, il diaconato potrà essere aperto a due tipi di candidati maschili: da una parte “uomini maturi” (maturioris aetatis) anche – concessivo! – viventi nel matrimonio, e dall’altra “giovani” adatti a questo ufficio, ma vincolati dalla legge del celibato. Si osserverà che la proposta avanzata nei dibattiti preparatori di ordinare religiosi di età matura non si conserva nel testo conciliare.
Il capitolo V della LG richiama le diverse forme che la ricerca della santità cristiana può assumere. Accanto ad altre voci, il n. 41 §4 cita quella dei “ministri di ordine inferiore”, fra cui i diaconi, che partecipano alla missione e alla grazia del Cristo, Sommo Sacerdote, evocazione della loro associazione specifica al sacerdozio comune di tutti i battezzati.
Esplicitando più in particolare la vocazione diaconale, il testo nota poi che si tratta di “servire il mistero del Cristo e della Chiesa”, come indica il rimando ad Ignazio di Antiochia (II secolo, Lettera ai Trallesi), il quale designava i diaconi come “servi” (in greco huperatai) della Chiesa di Dio.
Il decreto sulle Chiese orientali cattoliche (21 novembre 1964)
Appoggiandosi ad una serie di concili e sinodi orientali, il n.17 di questo decreto “auspica” che venga ristabilito il diaconato permanente laddove esso fosse caduto in disuso.
Il decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi (28 ottobre 1965)
Nei suoi ampi sviluppi sulla missione santificatrice dei vescovi (n. 15), questo testo ricorda che nell’esercizio dei loro “poteri” (potestates) rispettivi, i preti e i diaconi dipendono dai vescovi, i soli detentori dalla “pienezza del sacramento dell’Ordine”. Come aveva già fatto la LG al n. 29, il testo rimarca che i diaconi sono ordinati “in vista del ministero”, per servire il Popolo di Dio, in comunione col vescovo e il suo presbiterio. L’inserimento di tale allusione in questa parte del decreto suggerisce che il servizio del diacono è qui soprattutto considerato come dipendente dal culto e dalla liturgia.
La Costituzione dogmatica sulla Rivelazione (18 novembre 1965)
Nonostante quest’ultima insistenza, la costituzione Dei Verbum descrive i diaconi e i catechisti come coloro che “curano normalmente” (legittime instant) il ministro della Parola; essi vengono chiamati a mantenere un legame costante con le Scritture per farne meglio parte ai fedeli (n.25).
Il decreto sull’attività missionaria (7 dicembre 1965)
Il n.15 di questo documento insiste sul necessario sviluppo delle comunità locali. A tal fine, esso sottolinea l’importanza di poter disporre di ministri diversi, scaturiti dal gruppo e dallo stesso rispettati. Si citano poi le funzioni (munera) dei presbiteri, dei diaconi e dei catechisti. E’ la prima volta che il Concilio richiama esplicitamente il ministero diaconale come un pilastro della vitalità comunitaria.
Il decreto ritorna su questo tema al n. 16, dedicato stavolta all’emergenza di un clero autoctono: le “radici” della Chiesa sono più vigorose quando le comunità possono disporre di vescovi, sacerdoti, e diaconi indigeni, tutti ministri della salvezza al servizio dei loro fratelli.
La LG affida alle Conferenze Episcopali la cura di valutare l’opportunità di ristabilire nelle loro regioni il diaconato permanente, qui descritto come no status vitae pemanens , un modo concreto di vivere piuttosto che un insieme di compiti da assolvere.
Il testo sottolinea l’utilità di un’ordinazione che fortifica e unisce più strettamente all’altare, per la grazia sacramentale che accresce l’efficacia del ministero conferito.
Il decreto precisa allora ciò che esso intende per ministeri davvero diaconali: è ciò che fanno innanzitutto tutti coloro che si dedicano all’annuncio della parola divina come catechisti; si menzionano poi quelli che governano comunità lontane a nome del vescovo o del parroco; si fa menzione infine di coloro che esercitano la carità nelle attività sociali e caritative.
Mentre nei testi precedenti, era la funzione liturgica che tendeva a primeggiare, il decreto sull’attività missionaria richiama la parola, la carità e fatto nuovo, un governo delegato.
Ovviamente la redazione del testo è influenzata dalla pratica di certe diocesi del terzo mondo dove i catechisti sono spesso gli animatori delle comunità locali.
L’analisi dei testi conciliari rileva delle esitazioni, se non addirittura delle tensioni. Se conviene privilegiare le opzioni sviluppate nelle costituzioni del Vaticano II, le scelte che attestano i decreti testimoniano una certa estensione dei compiti diaconali. Spesso più tardivi i decreti riflettono una certa maturazione degli spiriti, mentre prendono in considerazione più che i documenti i bisogni pastorali delle chiese particolari.
Nuove tappe nella riflessione ecclesiale sul diaconato furono i motu proprio del 1967 e del 1972 di Papa Paolo VI, che apriranno la via ad uno sviluppo importante e fecondo. L’ultimo ebbe anche il privilegio di poter trarre alcune lezioni dalla pratica dei primi diaconi ordinati, a cominciare dai primi cinque della storia contemporanea, che dopo otto anni di preparazione furono ordinati a Colonia il 28 aprile 1968.
CAPITOLO III
IL DIACONATO PERMANENTE NEL MAGISTERO
a. Il diaconato permanente nel Magistero Pontificio
Con il Concilio si avvia una nuova stagione per il diaconato e comincia un vitale e faticoso cammino su due fronti: da un lato l’approfondimento normativo da parte della Santa Sede e delle Conferenze Episcopali, dall’altro la presa di coscienza delle comunità che si aprono, anche se lentamente, ad accogliere questo ministero.
Nel motu proprio sacrum diaconatus ordinem Paolo VI[23] riprende i compiti indicati dal Concilio apportando qualche innovazione, come l’aggiunta tra le funzioni del diacono la guida di comunità disperse. Inoltre si danno delle direttive circa la formazione dei candidati, precisando l’età minima per l’ordinazione: 25 anni per i celibi; 35 anni per i coniugati. Le restanti questioni, sul ripristino del diaconato vengono delegate alle Conferenze Episcopali.
Il Papa preme affinché la restaurazione del diaconato nella Chiesa latina avvenga nella carità in modo tale che la presenza del diacono arricchisca non solo l’ordine ministeriale, ma anche la comunità tutta, significativamente il Papa sottolinea lo spirito di servizio che deve caratterizzare il diacono stesso il quale trova nel servizio la sua assimilazione a Cristo il quale come dice Matteo (20,28) non è venuto per essere servito ma per servire.
Il profilo del ministero diaconale viene ancor meglio delineato nel documento ad pascendum. Vengono introdotte alcune novità dal punto di vista disciplinare come:
a. il rito di ammissione segna l’inizio della preparazione diretta all’ordinazione.
b. la pubblica assunzione dell’impegno del sacro celibato davanti a Dio e alla Chiesa da farsi prima dell’ordinazione da parte dei candidati non coniugati.
Anche se manca un esplicito documento di Giovanni Paolo II sul diaconato, il Papa si è pronunciato sul tema in parecchi discorsi e catechesi.
Di particolare efficacia è l’affermazione secondo la quale il servizio del diacono è un servizio ecclesiale sacramentalizzato. Considerando la profonda natura spirituale di questa diaconia è possibile capire meglio l’inter-relazione fra le tre aree ministeriali del diacono che sono: la parola, la liturgia, la carità.
Giovanni Paolo II parla con pressante insistenza della speciale testimonianza che i diaconi sono chiamati a dare nella società, proprio perché la loro occupazione secolare consente l’accesso alla sfera temporale in un modo che normalmente non è concesso agli altri membri del clero. Allo stesso modo, notevole è il contributo di testimonianza che il diacono sposato offre alla sacralità della vita familiare in virtù della duplice grazia e dalla duplice sacramentalità che riceve dal matrimonio prima e dall’ordinazione poi. E’ particolarmente significativo per Giovanni Paolo II il coinvolgimento della moglie di un diacono nel ministero pubblico e nell’approfondimento dell’amore coniugale.
In riferimento poi al rito di ordinazione il diacono si impegna ad una formazione spirituale che dovrà durare tutta la vita in modo tale che ci sia una crescita ed una perseveranza nel servizio che edifichino realmente se stessi, la propria famiglia e il popolo di Dio.
In occasione dell’assemblea plenaria della congregazione per il Clero il Papa Giovanni Paolo II auspica un’attenta indagine teologica sul diaconato avendo all’orizzonte la necessità di una nuova evangelizzazione alle soglie del terzo millennio.
Il Papa Giovanni Paolo II riassume tutto ciò che si può riferire alla vita e al ministero dei diaconi in una sola parola: fedeltà.
Ciò significa :
1) fedeltà alla tradizione;
2) fedeltà al magistero;
3) fedeltà all’impegno di ri-evangelizzazione.
In modo primario, con il sacramento dell’ordine, attraverso l’imposizione delle mani e attraverso la specifica preghiera di consacrazione, il diacono riceve una peculiare configurazione a Cristo servo. Il diacono così non è più laico e per questo viene ordinato per l’esercizio di un ministero proprio che richiede una disposizione spirituale di piena dedizione.
E’ in questa luce e in questa prospettiva che vanno esaminati i non pochi problemi, ancora aperti, legati alle necessità di rendere lo svolgimento del servizio ecclesiale di diacono compatibile con altri obblighi coniugali, familiari, professionali, sociali ecc.[24]
b. il diaconato permanente nei documenti della CEI .
L’Assemblea della Conferenza Episcopale Italiana del 13 Novembre 1970, ha approvato la restaurazione del diaconato in Italia.[25]
Questo testo redatto l’8 Dicembre 1971, viene ratificato e approvato dalla Santa Sede nel Marzo 1972.
Dunque, dopo le indicazioni tridentine e dopo il Vaticano II la CEI ripristina in questa data ufficialmente il diaconato permanente in Italia.
Il segretariato della CEI ,nel maggio 1972, ha inviato a tutti i Vescovi un regolamento applicativo dal titolo: Norme e direttive per la scelta e la formazione dei candidati al ministero diaconale.
Tale documento fornisce, tra le altre alcune considerazioni molto interessanti, quali:
- considerare come criterio per la scelta dei candidati, chiamare all’ordinazione chi già di fatto esercita un servizio apostolico nell’ambito di una comunità, e chi di fatto dimostri di avere una personalità e una vita già sperimentata.
- il principio per distinguere il ministero diaconale da quello laicale e presbiterale in modo tale da conferirgli una specificità
- la precisa indicazione che una pastorale di rinnovamento non può prescindere dal ministero diaconale
Dopo il documento che ha ripristinato nella Chiesa italiana il diaconato permanente, questo ministero è stato costantemente ricordato nei testi ufficiali, a partire dal piano pastorale per gli anni 70 su Evangelizzazione e Sacramenti , per gli anni 80 Comunione e Comunità e per gli anni 90 Evangelizzazione e testimonianza della carità.
Un particolare riferimento al diaconato si ha poi nei documenti : i Ministeri della Chiesa del 15 settembre 1973 ed Evangelizzazione e ministeri del 15 Agosto 1977 , Vocazione nella Chiesa italiana, piano pastorale per le vocazioni 26 Maggio 1985.
Riprendendo la riflessione e aggiornando gli indirizzi “nell’intento di accompagnare la crescita dell’apporto che il diaconato permanente è chiamato a offrire alle Chiese particolari”[26],i nostri vescovi pubblicano nel 1993 in sostituzione del precedente, un nuovo documento dal titolo: i diaconi permanenti nella chiesa in Italia . Orientamenti e norme.
Questi testi ci forniscono interessanti spunti per il nostro lavoro sul discernimento diaconale e sulla vita del diacono.
Un serio discernimento vocazionale non può prescindere, trattandosi di uomini di età matura, da una previa verifica delle precedenti condizioni di vita ecclesiale, spirituale e famigliare del candidato diacono.
La prima comunità che deve essere coinvolta in questo discernimento è la famiglia.
I candidati coniugati devono ricevere espressamente ,tramite consenso scritto, il consenso della sposa ed in tal modo deve essere assicurata e dimostrata la stabilità della vita familiare.
Viene così messo in risalto l’itinerario di discernimento dove sono coinvolte le diverse componenti della comunità ecclesiale: la persona chiamata, la famiglia, la comunità di provenienza.
Molto importanti le indicazioni riguardanti la vita di mariti e di padri che i futuri diaconi dovranno armonizzare con le loro nuove funzioni così da poter vivere matrimonio e servizio “ambedue gioiosamente e totalmente”[27].
Anche a livello internazionale le Congregazioni per l’Educazione Cattolica e per il Clero hanno raccolto i fermenti , i suggerimenti e le istanze post-conciliari ed hanno prodotto dei documenti atti a disciplinare concretamente l’istituto del ministero diaconale.
Le due Congregazioni hanno dedicato al diaconato le loro assemblee plenarie nel Novembre 1995, quindi hanno elaborato come relazioni finali : la Ratio fundamentalis institutionis diaconorum permanentium e il Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti.
I Padri partecipanti alle assemblee plenarie hanno significativamente disposto che i due dicasteri pubblicassero simultaneamente e con una unica introduzione i due documenti.
Essi dunque pur conservando la loro propria identità e il proprio valore giuridico si richiamo e si integrano vicendevolmente.
Tale pubblicazione congiunta dopo l’approvazione di Giovanni Paolo II, si ebbe il 22 Febbraio 1998, festa della Cattedra di S.Pietro Apostolo.
Questo documento intende essere “punto di riferimento per quelle Chiese in cui il diaconato è una realtà viva e operante; per le altre, sarà un efficace invito a valorizzare quel prezioso dono dello Spirito che è il servizio diaconale.”[28]
IV CAPITOLO
IL DIACONO PERMANENTE UXURATO: “UN PONTE” TRA LA CHIESA E IL MONDO
a. Il diacono : “un cavaliere inesistente” alla ricerca dell’essere.
“ Dal punto del suo significato teologico e del suo ruolo ecclesiale, il ministero del diaconato costituisce una sfida per la coscienza e la prassi della Chiesa.",[29]così si esprime la Commissione Teologica Internazionale a conclusione del testo sulle evoluzioni e sulle prospettive del diaconato.
Al termine di questo lavoro possiamo notare come fin dall’antichità il diacono sia stato chiamato a cercare di darsi una identità propria, cioè partendo da alcuni dati certi quali la sacramentalità e l’appartenenza all’ordine, il suo operato sia anche stato una continua ricerca “esistenziale.”
In questo senso il diacono è “un cavaliere inesistente”, è una sorta di “Agilulfo”, il personaggio della trilogia araldica di Italo Calvino che nell’armata carolingia cerca la propria identità, ed è simbolo di una volontà che dà consistenza all’essere a prescindere dalle strutture fisiche, attraverso la presa di coscienza di ciò che essere si vuole.[30]
A conferma della necessità di percorrere questa strada esistenziale troviamo esplicite dichiarazioni della Commissione Teologica Internazionale che così si esprime: “per analizzare la caratterizzazione del diaconato si deve piuttosto considerare l’aspetto dell’essere stesso del diacono.”[31]
Ed ancora, mi pare illuminante la sintesi che sul tema ci fornisce Pagé: “è nella direzione dell’essere che occorre cercare la specificità del diaconato permanente, e non nell’aspetto del fare. Ciò che essi sono, costituisce l’originalità di ciò che fanno.”[32]
Per molto ,troppo tempo, l’accento è stato messo sul “cosa” il diacono può fare “in più” rispetto ad un laico e soprattutto sul “cosa” può fare “in meno” rispetto ad un prete.
Questa prospettiva incentrata sulla dimensione dell’essere, credo sia più corretta per definire la specificità del diacono, anche per chiarificarne il compito all’interno della Chiesa, è la categoria dell’essere che regolerà e dirigerà quella del fare.
b. Diaconato, matrimonio e famiglia
E’ un fatto che il diacono permanente nella quasi totalità dei casi sia un uomo sposato e che, di conseguenza, dal suo essere sia indeducibile il sacramento del Matrimonio.
Nel profondo del suo essere il diacono sposato è segnato-consacrato una prima volta nel sacramento del Matrimonio ed una seconda volta nel sacramento dell’Ordine.
Non credo si tratti di dover cercare una conciliazione tra l’essere marito e diacono ,quanto piuttosto di assumere una nuova prospettiva ontologica originale.
Il diacono assume una nuova condizione d’essere che non è quella del semplice coniugato né quella del semplice ordinato.
Per la natura stessa del sacramento che li unisce, anche la sposa del diacono è propriamente coinvolta nella condizione nuova che la coppia viene ad assumere. I due non possono infatti realizzare la propria vocazione singolarmente, ma comunionalmente, come coppia.
L’amore tra due esseri con il matrimonio diventa sacramento, essi si santificano donandosi e nella misura in cui essi stessi si donano, si salvano. Con il matrimonio, infatti, gli sposi si assumono anche la responsabilità della salvezza dell’altro.
Se lo sposo diventa diacono, in un certo senso la coppia diventa “diaconale” tenendo ben presente che, sebbene nelle conseguenze investa entrambi, il sacramento dell’ordine è ricevuto da un solo membro della coppia, cioè il marito.
Uno degli sposi è ordinato, non la coppia: ma l’ordinazione riguarda la coppia; qualunque divisione, soprattutto se causata dal diaconato del marito comporterebbe il venir meno della condizione necessaria posta sin dal principio dal creatore e che cioè i due diventino una sola carne.
Uomo e donna sono collocati diversamente in rapporto al diaconato, poiché l’ordinazione dello sposo non cambia lo statuto personale della sposa nell’ambito del popolo di Dio.
Tuttavia nell’unità e nell’intimità coniugale, la sposa misteriosamente porta con il suo sposo il sacramento da lui ricevuto.
Giustamente dunque la Chiesa richiede per l’ordinazione di un diacono sposato il consenso scritto della moglie [33].
E’ illuminante, riguardo al si previo della sposa, un espressione del teologo mistico Nicola Cabasilas: “ L’Incarnazione fu non soltanto l’opera del Padre, ma anche l’opera dalla volontà e della fede della Vergine. Senza il consenso della purissima, senza il consenso della sua fede, quel disegno era altrettanto irrealizzabile che senza l’intervento delle tre Persone Divine. Come voleva incarnarsi, così voleva che sua Madre lo generasse liberamente, con pieno consenso”[34]
E dunque un concorso della fede che viene chiesto alle spose; un atto libero responsabile e volontario di amorevole ed amorosa accoglienza al disegno di Dio sul proprio sposo e sul proprio matrimonio.
La scrittura narra di molte storie di donne che sono state chiamate a condividere la vita di fede dei loro mariti assumendo un ruolo decisivo nella storia della salvezza.
Si pensi a Sara moglie di Abramo, a Rebecca moglie di Isacco, a Elisabetta moglie del sacerdote Zaccaria, e parlando di matrimonio con-diviso e inserito nel progetto di Dio si pensi anche a Giuseppe sposo di Maria.
Il paragone con il “fiat” di Maria sta proprio ad indicare l’accettazione della Grazia ,Maria è tutta Santa perché piena di Grazia, la sua santità le deriva dall’accoglienza del dono per eccellenza.
In Maria c’è l’intima unità di amore e servizio che deve essere fatta propria da quanti vivono lo stato coniugale-diaconale.
La coppia diaconale viene chiamata ad una vita sponsale che sia segno tangibile e visibile dell’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa
La sposa dona al marito, alla Chiesa e a se stessa il con-senso alla realizzazione del progetto di Dio sul suo sposo , sul suo matrimonio, su di sé, sulla sua famiglia.
Il dinamismo bipolare del dono-missione, proprio di ogni vocazione assume nella “coppia diaconale” una speciale valenza ecclesiale, la loro famiglia assume la condizione di “ecclesia domestica” in senso pieno e non metaforico del termine.
Il diacono coniugato ha dunque il compito insieme alla sua famiglia di essere segno e testimone della fedeltà dell’amore coniugale, dell’unità dell’amore coniugale, della fecondità educante dell’amore coniugale nella grazia dello Spirito Santo.
Il diacono e la coppia diaconale possono essere segno e strumento di una rinnovata pastorale famigliare.
Al matrimonio e alla famiglia si deve restituire il compito fondamentale di generare ed educare alla vita umana e cristiana, di cui la destrutturata società di oggi ha un drammatico bisogno per la propria rinascita dall’interno.
Si potrebbe proporre un modello pastorale fondato su una comunione –comunità di famiglie, che in un impegno reciproco permanente mettano insieme le loro forze per vivere una vita radicalmente evangelica e concretamente educante.
Questa comunità sarebbe veramente un ministero ecclesiale in quanto incarna il servizio fondamentale di amore a Cristo alla Chiese, ai fratelli.
All’interno di queste dinamiche di comunità, il diacono insieme alla sua famiglia diviene segno sacramentale di servizio che con l’ordinazione ha assunto come carattere irrinunciabile della propria vita.
In questo ulteriore ambito credo che il diacono con la sua vita famigliare abbia il compito di essere testimone, infatti oggi come non mai il mondo ha bisogno di testimoni del Vangelo e non di maestri, di persone che giochino la vita per il Signore e ne diventino segni , dunque testimoni visibili e credibili .
Dobbiamo saper accogliere, conoscere, ascoltare e poi annunciare il Vangelo da testimoni e non da maestri. Il Vangelo non va né edulcorato né completato da noi , ma da noi compiuto.
Siamo chiamati non al fare, ma a testimoniare uno stile di vita cristiano.
Proprio per la provvisorietà in cui siamo immersi l’uomo di oggi ha bisogno di impegni per sempre, di servizi che non siano episodici ma l’espressione di una vita intera, come lo sono appunto il matrimonio cristiano, l’impegno comunitario e il diaconato.
Possiamo allora auspicare ad un diaconato fondato sull’essere , o meglio un diaconato che dopo aver preso coscienza di ciò che vuole essere,
si ponga come segno.
c. il diacono ministro del “ponte”.
La diaconia di Cristo appare come modello dell’agire cristiano.
Il diacono sarà colui che deve rappresentare sacramentalmente questo agire - servizio.
“Questa nozione farà del diacono il punto di comunicazione della Chiesa verso il mondo e, allo stesso modo del mondo verso la Chiesa, a partire dal rapporto che egli pone, mediante la sua presenza a un tempo ecclesiale (come ministro ordinato) e sociale (come marito, come lavoratore, come soggetto della vita associativa) , tra la Chiesa e il mondo.[35]
L’attribuzione al diaconato permanente di una funzione mediatrice o di ponte tra la gerarchia e il popolo di Dio era già apparsa nel dibattito conciliare.
Nel motu proprio Ad Pascendum Paolo VI ha applicato al diaconato permanente la definizione di medius ordo.
Questa idea ha avuto ampia diffusione ma necessita di una precisazione teologica.
Sarebbe un errore considerare il termine medius ordo come una realtà sacramentale intermedia tra gli ordinati e i battezzati, l’appartenenza del diacono all’ordine è una dottrina sicura, teologicamente il diacono non è un laico, il termine medius ordo deve intendersi come funzione mediatrice come funzione ponte esercitata da chi appartiene ad entrambe le “sponde”.
Ponte dunque come metafora dell’intermediazione.
Cercherò di mostrare quali siano , secondo me le caratteristiche di questa funzione di ponte.
Il mondo ci mostra l’uomo come un individuo frammentato che invoca contemporaneamente l’unità ( unità di sé della famiglia) e la molteplicità (nella realizzazione ed espressione di sé).
La stessa tensione la ritroviamo proposta e teologicamente composta dalla Chiesa a proposito di ministero e carisma.
Il ministero indica l’unità ordinata, mentre il carisma permette la sua partecipazione e disseminazione.
Il carisma-ministero diaconale si illumina e appare particolarmente adatto nel mettersi al servizio, in varie modalità, nelle diversità delle situazioni della vita, spinti dalla grazia di Dio che è insieme una e molteplice.
Il mondo ci mostra un uomo diffidente nei confronti del potere , ma bisognoso di autorità.
Il diacono rivestito del potere di servire può parlare un linguaggio più vicino alla gente, rifuggendo la tentazione di pontificare e di voler imporre la verità quanto piuttosto cercando di vivere autorevolmente una vita evangelica.
La metafora del ponte viene spesso intesa sia come capacità di unire i due estremi
Questa caratteristica diaconale è permessa dal fatto che il diacono ha libero accesso a due mondi che sono stati vissuti a lungo come separati e inconciliabili , e può davvero essere grande il suo contributo alla loro riconciliazione, perché partecipa a pieno titolo di ambedue.
Il diacono permanente vive, unico tra gli ordinati, la comunione speciale con la donna, la comunione speciale con i figli da lui generati ed educati.
La figura del diacono può proporsi come ponte anche nel dialogo ecumenico; infatti il diacono è una figura appartenente certamente alla Tradizione viva della Chiesa e in quanto tale riconosciuta , pur con valutazioni diverse, da molte confessioni cristiane.
In queste situazioni mi porre si possa collocare la funzione di ponte e di mediazione del diacono.
d. “alzati e va’ sulla strada”[36]
L’individuazione del rapporto fra diaconia e territorio , fra diaconia e società, fra diaconia e mondo è un elemento caratterizzante del ministero diaconale.
Lo spazio sociale del diacono rappresenta oggi un ambito prioritario e irrinunciabile per la nuova evangelizzazione, luogo privilegiato di incontro con gli uomini del nostro tempo, vero terreno di semina per una pastorale rinnovata.
Questo cammino in mezzo alla gente sulla strada diventa allora un luogo di azione diaconale.
I diaconi devono far propria l’esperienza del diacono Filippo in Atti 8,26ss.
Le parole dell’angelo pronunciate per bocca dell’angelo: “alzati e va’ sulla strada” sono particolarmente adatte per la missione del diacono.
Per il diacono, infatti, che coniuga il carattere clericale del sacramento con il carattere laicale della condizione di vita , deve diventare una risposta naturale ubbidire all’ordine di andare sulla strada , lui che in un certo modo sulla strada c’è già.
Bisogna correre avanti sino a raggiungere l’uomo nella sua situazione, e camminandogli accanto, offrirgli l’occasione di invitarti a salire.
E’ significativa la scena di Filippo che sale sul carro dell’Etiope, ed ascolta le sue domande e risponde agli interrogativi.
Filippo è l’immagine della diaconia di tutta la Chiesa, che raggiunge l’uomo nella sua situazione concreta, sulla strada sulla quale egli cammina
per fare la strada insieme.
CONCLUSIONE
Al termine di questo breve lavoro di ricerca storica e teologica è giunto il momento di rispondere alla domanda iniziale; se cioè il diacono può porsi come ponte tra la Chiesa e il mondo.
La risposta è sicuramente positiva e direi che quest’immagine di ponte è caratteristica ormai consolidata , anche storicamente , del diaconato.
Forse più interessante è vedere come il diacono permanente debba incarnare con la sua vita questa immagine di ponte.
La nostra storia chiede testimoni silenziosi e fedeli, capaci di scelte “per sempre” ,di scelte radicali, di scelte scomode.
La nostra storia presente chiede mariti fedeli, attenti e premurosi capaci di essere felici della felicità dell’altro capaci di dono e dedizione totali.
La nostra storia ha bisogno di padri accanto ai figli, di padri che parlino loro di Dio, di pace, di giustizia e di vita autentica.
La nostra storia ha bisogno di lavoratori che portino nella loro attività il segno del vivere cristiano.
E’ in questo contesto che il diacono, che è marito, padre, lavoratore e ministro si deve porre per lanciare la sfida del “ponte”.
Un uomo totalmente del “mondo” che vive nel “mondo” come uomo totalmente di Dio, tale così da porsi appunto come “ponte” ma ancor di più come segno e testimone dell’azione salvifica di Dio nella storia.
La soluzione che io vedo è nello stesso tempo semplice e complessa il futuro del diaconato consisterà dunque, non tanto nel fare il diacono quanto piuttosto nell’essere diacono, vivendo con radicalità evangelica , nella Chiesa e nel mondo il mistero di questo ministero.
Desidero affidare a Maria questo mio lavoro , ma soprattutto i pensieri e le riflessioni che lo hanno accompagnato e i desideri che mi sono cresciuti nel cuore.
PREGHIERA A MARIA SANTISSIMA[37]
MARIA,
Maestra di fede, che con la tua obbedienza alla Parola di Dio hai collaborato in modo esimio all’opera della Redenzione, rendi fruttuoso il ministero dei diaconi, insegnando loro ad ascoltare e ad annunciare con fede la Parola.
MARIA
Maestra di carità, che con la tua piena disponibilità alla chiamata di Dio hai cooperato alla nascita dei fedeli nella Chiesa, rendi fecondi il ministero dei diaconi, insegnando loro a donarsi nel servizio del Popolo di Dio.
MARIA,
Maestra di preghiera, che con la tua materna intercessione hai sorretto e aiutato la Chiesa nascente, rendi i diaconi sempre attenti alle necessità dei fedeli, insegnando loro a scoprire il valore della preghiera.
MARIA,
Maestra del servizio nascosto, che con la tua vita normale e ordinaria, piena di amore hai saputo assecondare in maniera esemplare il piano salvifico di Dio, rendi i diaconi servi buoni e fedeli, insegnando loro la gioia di servire nella Chiesa con ardente amore
AMEN
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c. riviste
COMMUNION ET DIACONIE, ed. Lemettre, Wattrelos, France.
DIACONAT AUJOURD’HUI, ed. Comitè National du Diaconat, Avignon ,France.
DIAKONEIN, ed.Dubè, Montreal, Canada.
INFODIACRES, ed. Bialecki, Mons, Belgique.
DEACON DIGEST,ed James, Wisconsin, USA.
ORARION, ed. Diaconal Fellowship, Ontario Canada.
DIACONIA CHRISTI, ed.Internationales Diakonatzentrum, Freiburg, Deutschland.
BOLETIM DA COMMISSAO NATIONAL DE DIACONOS ed.Commissao National de Diaconos, Apucarana, Brazil.
IL DIACONATO IN ITALIA, a cura della comunità del diaconato in Italia, ed. San Lorenzo, Reggio Emilia, Italia.
COMMUNIO ,Rivista internazionale di Teologia e Cultura, ed Jaca Book, Milano, Italia
INDICE
CAPITOLO I
STORIA DEL DIACONATO
a. La diaconia dell’esistenza cristiana p.1
b. Il diaconato nel Nuovo Testamento p.2
c. Il diaconato nella Chiesa antica p.6
d. Il diaconato nella Chiesa medievale p.8
e. La sacralità del diaconato dal XII sec. al Concilio di Trento p.12
CAPITOLO II
IL DIACONATO NEL CONCILIO VATICANO II
a. Il dibattito pre-conciliare p.17
b. Il dibattito conciliare p.18
c. I testi conciliari p.22
CAPITOLO III
IL DIACONATO NEL MAGISTERO DELLA CHIESA
a. Il diaconato permanente nel Magistero Pontificio p.30
b. Il diaconato permanente nei documenti della CEI p.33
CAPITOLO IV
IL DIACONO PERMANENTE UXURATO: “UN PONTE” TRA LA CHIESA E IL MONDO
a. il diacono : “ un cavaliere inesistente” alla ricerca dell’essere p. 37
b. diaconato, matrimonio, famiglia p.39
c. il diacono ministro del “ponte” p.43
d. “alzati e va’ sulla strada”p.45
Conclusioni p.47
Preghiera a Maria Santissima p.49
Bibliografia p.50
Indice p.55
[1] Fil. 1,1; 1 Tm 3,8.12.
[2] E. Cattaneo, I ministeri nella chiesa antica, testi patristici dei primi tre secoli, Milano, 1977
[3] J. Roloff, Die kircheim Neuen Testament, Vandenhoeck, Gottingen,1993, pp.261-263
[4] G. Hamman, Storia del Diaconato, ed. Qiqajon, Torino 2004,p.24
[5] G. Bridel, Aux seuils de l’espérance, Delachaux, Neuchatel,1971,p.33
[6] A Hamman, Le diaconat dans l’antiquieté crétienne,Desclée,Paris 1968 p.9
[7] G Dix, Le ministere dans l’eglise ancienne, Delechaux, Neuchatel,1955,p.65ss.
[8] Giustino, I apologia 65,5 in gli Apologeti greci a cura di C. Burini ,Città Nuova, Roma 1986 p.146
[9] J. Meyendorff, Unité de l’Empire et division des crétiens , Cerf, Paris, 1993
[10] Costituzioni Apostoliche VIII, 49,9-12
[11] C Bridel, Aux seuils de l’espérance, Delachaux, Neuchatel 1971,p.27
[12] G.Hamman, Storia del diaconato, ed Qiqajon , Torino, 2004 p.106
[13] G. Duby, Le moyen àge, hommes et structures du moyen àge, Mouton, Paris, 1973 pp.121
[14] M. Pacaut, L’ordre de Cluny, Fayard,Paris 1986, p.49
[15] Durandus de San Porcianus, Super Sententias, Parisii,1550,libr.IV d.24 q. 6.
[16] R. Bellarminus, Controversiarum de sacramento ordinis liber unicus, in Opera Omnia, vol V ,Paris 1873
[17] Un’ampia documentazione di studi teologici e storici fu pubblicata in Germania da K. Rahner, Diaconia in Cristo,(qd 15/16) Freiburg,1962
[18] H.Krimm, Das diakonische Amt der Kirche, Stuttgard, 1965
[19] G. Caprile, il Concilio Vaticano II. Il primo periodo:1962-1963, Roma pp.337;410;413;494;498;501;536.
[20] Intervento di Monsignor Paul Yu PIN del 10 Ottobre 1963
[21] sul tema si veda lo studi di A.Borras e B: Pottier, La grace du diaconat, Bruxelles,1998 pp. 22-40
[22] A.Kerkvoorde, Esquisse d’une Thèologie du diaconat, in P. Winninger, Le diacre dans l’Eglise, Cerf,Paris 1966 p.155
[23] Il Pontefice Paolo VI sul diaconato permanente: Sacrum Diaconatus Ordinem, Ad Pascendum , Evangelii Nuntiandii, allocuzione nell’udienza concessa ai partecipanti al congresso sul diaconato (25 Ottobre 1965), allocuzione ai componenti la commissione di studio per il diaconato permanente (24 febbraio 1967).
[24] Il Pontefice Giovanni Paolo II ha trattato il tema del diaconato permanente nei seguenti documenti, discorsi e omelie:
ESORTAZIONI APOSTOLICHE: Catechesi Traende, Familiaris Consortio, Vicesimus Quintus Annus, Christifideles Laici, Pastores Dabo Vobis, Ecclesia in Africa, Dies Domini, Ecclesia in Oceania, Ecclesia in Europa, Pastores Gregis LETTERA APOSTOLICA: Dies Domini OMELIE. 21 Aprile 1979 a un gruppo di neodiaconi,Angelus per il Giubileo dei diaconi 20 Febbraio 2000 DISCORSI ai diaconi italiani 15 Marzo 1985, ai diaconi statunitensi 19 Settembre 1979UDIENZE GENERALI: 6 Ottobre 1993, 13 Ottobre 1993, 20 Ottobre 1993.
[25] CEI, La restaurazione del diaconato permanente in Italia,8 Dicembre 1971, Edizioni Paoline, Roma 1971 p16
[26] CEI, I diaconi permanenti nella Chiesa in Italia Orientamenti e Norme, 1 Giugno 1993,
[27] CEI, I diaconi permanenti nella chiesa in Italia. Orientamenti e Norme (1 Giugno1993) n.27
[28] CEI, Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti, edizioni elledici,1998 Torino p.65
[29] Commissione Teologica internazionale, Il Diaconato : evoluzioni e prospettive, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano ,2003, p.144
[30] ad Agilulfo si contrappone lo scudiero Gurdulù, che esiste in tutta la propria materialità senza però prendere mai coscienza di chi egli sia
[31] Commissione Teologica Internazionale, op.cit.,pag100
[32] Pagé R., Diaconat permanent et diversitè des ministeres, Montreal, 1998, p.61
[33] Codice di Diritto Canonico canone 1031,2
[34] N. Cabasilas , La Madre di Dio, ed Scritti Monastici, Abbazia di Praglia, 1997, p.110
[35] Grau, A., Diaconia di Cristo , in Communio n 177, 2001 Jaca Book, p.24
[36] Atti, 8, 26ss.
[37] Congregazione per il clero, Direttorio per il Ministero e la vita dei diaconi permanenti, Elle Di Ci, Torino1998, p.134