domenica 30 settembre 2007

Convegno di Assisi: Introduzione del Presidente Petrolino



INTRODUZIONE
QUALE DIACONO PER QUALE CITTÀ DELL’UOMO
Enzo PETROLINO*
Saluti
Con animo grato al Signore, all'inizio di questo Convegno nazionale, dichiaran­done ufficialmente aperti i lavori, desidero rivolgere un saluto cordiale a tutti. Anzitutto a Mons. Pietro Bottaccioli, quale delegato per il diaconato della Commissione Clero e Vita consacrata, che ci incoraggia a proseguire la collaborazione e il servizio che la nostra Associazione vuole offrire alle Chiese che sono in Italia per la promozione e l'incremento del ministero diaconale, com'è nella no­stra trentennale tradizione e nei nostri Statuti; ai relatori: Mons. Monari, vice-presidente della CEI e vescovo di Piacenza-Bobbio, Mons. Bregantini, Mons. Paglia, P. Scalia, fratel Arturo Paoli, don Bellia, don Tremolada; ai presbiteri delegati e ai diaconi, alle mogli, ai consacrati, a voi tutti, uomini e donne, il cui prezioso servizio nella Chiesa è destinato a dare un contributo insostituibile e dunque decisivo per l'edificazione della Città di Dio e della Città degli uomini. Un saluto ed un grazie particolare a Rob Mascini, Presidente del Centro Internazionale del Diaconato e fedele frequentare dei nostri Convegni e a Bill Ditewig, Direttore Esecutivo del Diaconato di Washington (Usa). Sono presenti in mezzo a noi anche un diacono di Madrid e della Serbia insieme alla moglie.
Un grato ringraziamento al Santo Padre che si è fatto presente attraverso un telegramma inviato dal Segretario di Stato Card. Bertone. Messaggi augurali ci sono giunti anche dal Vicario si sua Santità Card. Ruini, dal Segretario della CEI Mons. Betori e dal Presidente della Commissione episcopale del Clero e Vita consacrata Mons. Castellani. Un grazie a tanti vescovi che ci hanno scritto e ci sostengono soprattutto con la preghiera.
Un “benvenuto” a tutti voi, che, con la vostra adesione, sostenete ed incoraggiate la nostra Associazione nel suo lavoro. Benvenuto che unito all'augurio e alla speranza che il lavoro che ci attende in questi giorni, sia ricco di frutti per il ministero diaconale. Questo augurio si fonda sulla certezza che lo Spi­rito del Risorto è con noi e ci guida, mentre ci accompagnano la protezione di Maria, Serva del Signore, e l'intercessione del Santo Patrono d’Italia, il diacono Francesco.

Siamo giunti al XXI Convegno nazionale che la Comunità del diaconato in Italia promuove ogni due anni. Il tema “Quale diacono per quale città dell’uomo” si pone in continuità con l’incontro del 2005 quando ci siamo soffermati a riflettere sul servizio dei diaconi ad intra partendo dalla costituzione conciliare Lumen Gentium. Abbiamo affrontato il tema Diaconi per quale Chiesa? Quest’anno la nostra riflessione è rivolta ad extra, per approfondire il ministero diaconale rileggendo la Gaudium et Spes (GetS).
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Il tema scelto si è ispirato all’incipit della GetS. I diaconi sono chiamati a rendere visibile il mistero dell’incarnazione soprattutto sulle frontiere dove si gioca il futuro dell'uomo e della società, e lungo i sentieri della nuova evangelizzazione. È questo che vogliamo fortemente sottolineare nel Convegno per evitare che il diacono si chiuda nel recinto del sacro, si ripieghi in forme intimistico-devozionali esaurisca il suo servizio nel gruppo ristretto degli affini, ma al contrario si faccia ministro di una Chiesa che è chiamata – come amava ripetere Giovanni Paolo II – a trovare se stessa “fuori” di se stessa.
Sicuramente c’è un legame senza soluzione di continuità fra la Chiesa ed il mondo nell’insegnamento del Vaticano II – nessuna separazione, nessuna divisione. La Chiesa esiste ovunque nel mondo, per portarlo alla salvezza e dire l’abbraccio d’amore che permette a tutte le cose di esistere. E uno dei modi con cui il Concilio cercò di supportare questo nuovo atteggiamento della Chiesa di fronte al mondo fu proprio il ripristino del ministero diaconale. La Chiesa primitiva mostra diaconi che svolgevano un ministero nel cuore della vita ecclesiale, stando presso l’altare, ma è un ministero anche nel cuore degli affari del mondo, stando spesso in mezzo ai poveri e ai bisognosi ed amministrando i fondi caritativi della chiesa e la missione verso gli altri. Nelle loro persone, i diaconi esprimevano la non-separazione fra Chiesa e mondo, movendosi agevolmente dall’una verso l’altro. Proprio per questo che i diaconi sono segni di unificazione, veri segni di solidarietà.
La non-separazione fra Chiesa e mondo è costitutiva della comunità cristiana. Tuttavia, i diaconi la rendono visibile e la incarnano come un segno chiaro e costante di richiamo per tutti nella Chiesa – e per chiunque nel mondo – che è Dio che ha voluto che così fosse. La storia evidenzia che la Chiesa ha certamente bisogno di questo richiamo visibile al suo interno, al fine di impedire che si crei una barriera tra se stessa e il mondo.
Giovanni Paolo II diceva che, al tempo della reintroduzione del diaconato, alcuni vedevano il diaconato permanente come un ponte fra pastori e fedeli. Potremmo anche dire che qui sta il legame stesso tra Chiesa e mondo, liturgia e vita, e così via. Il termine ponte, però, pone anche qualche problema importante di identità (Vedi l’interessante discussione sull’idea di fare da ponte o mediare nel testo della CTI, 92-93). Si parla del diacono come di un ponte proprio per sottolineare la stretta connessione fra Chiesa e mondo, liturgia e vita, pastori e fedeli. Il pericolo, tuttavia, sta nel fatto che l’immagine stessa suggerisce un divario che necessita di essere colmato (e, inoltre, che esso non viene colmato finché non c’è un diacono). Certamente, c’era un divario tra Chiesa e mondo prima del Vaticano II; e se chiamiamo il diacono ponte per forza di cose corriamo il rischio di implicare che ovviamente un divario tra Chiesa e mondo, pastori e fedeli, ecc., in realtà esiste. Come afferma la CTI, l’idea del diaconato come medius ordo (ossia ponte, appunto) “potrebbe finire col sancire ed approfondire, attraverso quella funzione, il divario che avrebbe dovuto colmare” (n. 93). Io direi che è più fedele la visione del Vaticano II, particolarmente come è posta in GetS, che parla di una “non soluzione di continuità” o solidarietà tra Chiesa e mondo, e del diacono come di un segno splendido e speciale di questa continuità ininterrotta (o solidarietà).
In molti modi la realizzazione della GetS ci supera addirittura, e parte della lotta per rafforzare questo testo straordinario è sicuramente la lotta per acquistare chiarezza sul ministero e la vita dei diaconi, perché il programma che la GetS traccia è la vera Carta del Diaconato. La nostra insistenza per la chiarezza in merito al ministero diaconale è tesa soprattutto a consolidare l’insegnamento del Vaticano II, che Giovanni Paolo II ha identificato come “la grande grazia mandata sulla Chiesa nel 20° secolo”(NMI, 57). È una grazia che attende ancora di essere recepita pienamente, in modo che la Chiesa possa davvero essere, in questo nuovo secolo, come la GetS enfaticamente la definiva “l’universale sacramento di salvezza” che manifesta ed attualizza allo stesso tempo il mistero dell’amore di Dio per l’umanità (n. 45).
Il diaconato ha visto, in un contesto più ampio, consolidarsi nel tempo un notevole consenso ecumenico. Quella della diaconia ecumenica sarà uno dei temi che tratteremo in questo Convegno.
Nel rapporto al Sinodo Generale della Chiesa d’Inghilterra da parte di un Comitato di Lavoro della Camera dei Vescovi, viene detto: Nella recente riflessione ecumenica sul diaconato … il ministero dei diaconi è stato visto come quello di un intermediario, un ponte, un inviato il cui speciale ministero è portare il messaggio, il significato e i valori della liturgia, come un’espressione chiave del vangelo, nel cuore del mondo e, per lo stesso segno, portare i bisogni e le cure del mondo nel cuore del culto e della dimensione comunitaria della Chiesa. i diaconi sono stati visti come coloro che, radicati nell’insegnamento e nel culto del Corpo di Cristo, portano la buona notizia, come parola e sacramento e attraverso il servizio di carità, a quelli che Cristo è venuto a cercare e salvare.
Questa splendida descrizione ci aiuta a comprendere che i diaconi sono, in realtà, segni per la Chiesa di tutto quello che la Chiesa dovrebbe fare. È fuorviante descrivere e valutare il diaconato solo in termini funzionali. I documenti vaticani del 1998 sul diaconato esprimono ampiamente il valore di segno che il diaconato assume facendo riferimento al diacono come “icona vivente di Cristo Servo dentro la Chiesa”. Nell’ordinazione di un diacono, il vescovo prega Dio Padre perché il neo-diacono possa essere “immagine del tuo Figlio che non è venuto per essere servito ma per servire”. Particolarmente dal Vaticano II in poi, noi abbiamo compreso che la Chiesa intera è chiamata alla “spiritualità del servizio”, perché essa esiste nel mondo per servire la salvezza del mondo stesso. Il Concilio ha restaurato il diaconato come ministero stabile e permanente nella Chiesa perché tale ministero opera come un segno duraturo e vivente che richiama a tutti la nostra collettiva chiamata a servire, “affinché l’intera Chiesa possa meglio esprimere questa spiritualità del servizio, il Signore le dà un segno vivo e personale del suo essere Servo”. Ed è importante tener sempre presente questo contesto ecclesiale del diaconato.
Per i Padri della Chiesa delle origini, il ministero del diacono aveva un carattere vibrante e distintivo. Papa Paolo VI nel Motu proprio Ad pascendum affermava “Gli scrittori dei primi secoli … danno molti esempi dei molteplici importanti compiti loro affidati, e mostrano chiaramente la grande autorità che essi avevano nelle comunità cristiane e il grande contributo che portavano all’apostolato”. I Padri dei primi secoli che tanto influenzarono l’insegnamento del Vaticano II si trovarono di fronte la sfida della predicazione del Vangelo ad un mondo largamente pagano. In questo terzo millennio noi abbiamo di fronte la sfida di una nuova evangelizzazione, ed il Concilio, arricchito dal loro insegnamento, ci ha dato gli strumenti per realizzare questo compito. Il ripristino del diaconato dovrebbe sicuramente essere visto anche in questa luce, come parte integrante del lavoro fatto dal Concilio per preparare l’intera Chiesa ad un rinnovato apostolato nel mondo di oggi. I diaconi sono, dunque, “i pionieri della nuova civiltà dell’amore”
Come ho sottolineato all’inizio, è importante guardare alla ripristino del diaconato dentro l’intero contesto del Vaticano II, per poterlo comprendere appieno. Di fatto emergono quattro particolari punti di riferimento.
1. Innanzitutto i diaconi sono animatori del servizio che contribuiscono a formare una Chiesa Serva. Il Vaticano II ha insegnato che la Chiesa è “il sacramento universale della salvezza” (LG n. 48), nel suo protendersi verso il servizio alla salvezza del mondo. I diaconi, proprio in quanto dediti al servizio, svolgono un ruolo vitale nell’ancorare la vita dell’intera comunità ecclesiale a questo senso di auto-consapevolezza. Nel 1982, la Commissione Fede e Ordine del Consiglio Mondiale delle Chiese ha espresso questo punto in modo molto chiaro (BEM, n. 111): “I diaconi rappresentano alla Chiesa la sua chiamata ad essere serva nel mondo”: per contro, più viviamo come Chiesa che serve, più dovremmo comprendere il diaconato e discernere le vocazioni diaconali.
2. In secondo luogo, ispirandosi alle lettere di Ignazio di Antiochia (100 d.c. circa), alla Tradizione Apostolica (terzo secolo) e ad altre fonti antiche, il Vaticano II ha affermato che il vescovo ha in sé “la pienezza del sacramento dell’ordine” ed è il primo celebrante dell’Eucaristia in mezzo al suo popolo.(LG 21,26) “C’è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni del santo popolo di Dio, soprattutto alla medesima Eucaristia, alla medesima preghiera al medesimo altare, cui presiede il Vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri” (i diaconi) (SC n. 41).
Quando durante il Concilio i vescovi si volsero fonti antiche per render chiaro quale figura di vescovo operasse nella Chiesa primitiva, essi non poterono fare a meno di osservare la presenza del diacono (permanente), il quale era regolarmente al fianco del vescovo nella Chiesa delle origini. L’insegnamento del Vaticano II sul diaconato deve essere visto dentro il complessivo strutturarsi della Chiesa attorno all’Eucaristia, “fonte e culmine di tutta la vita cristiana” (SC n. 10), e della celebrazione dell’Eucaristia attorno al vescovo. In questa connotazione ministeriale della Chiesa tutta, il diacono è fondamentalmente legato sia all’Eucaristia che al vescovo.
3. Come terzo aspetto, il Concilio ha insegnato che la liturgia è “il culmine cui tende tutta l’attività della chiesa” ed anche “la fonte da cui promana tutta la sua virtù” (SC,10). L’intera Chiesa, dunque, ha nella sua funzione vitale un duplice movimento, un ritmo regolare che la raduna per la liturgia e poi la fa tornare nel mondo per proclamare e vivere il Vangelo. Una buona liturgia non può non animare l’apostolato. Il Vaticano II ha riportato il vescovo nel cuore della liturgia, ha ricondotto i laici alla partecipazione attiva all’azione liturgica (LG, 10) ed ha anche reintrodotto il diaconato restituendolo al suo luogo proprio all’interno di essa. Papa Benedetto XVI (allora cardinale Ratzinger) ha sintetizzato in modo limpido la dottrina del Vaticano II in questo ambito, affermando che “il culto della chiesa sta nella sua stessa edificazione, dal momento che la sua natura altro non è se non il servizio di Dio e quindi degli uomini e delle donne, ossia il servizio di trasformazione del mondo”..
Da quando, sotto la guida dello Spirito Santo, il Concilio ha ripristinato il diaconato e dato grande rilievo all’apostolato dei laici, non è di fatto possibile che il diaconato, propriamente compreso e vissuto, possa in alcun modo inibire l’autentico apostolato dei laici – piuttosto, è vero il contrario. Una delle sfide pratiche che certamente ci si pongono nell’implementare la restaurazione del diaconato è scoprire in che esso possa realmente, come dovrebbe, rafforzare e promuovere l’apostolato dei laici.
4. Da ultimo, è altrettanto importante richiamare il legame profondo tra il diaconato e la visione ecclesiologica della GetS di cui parlavo all’inizio. Il diacono dimostra in modo particolare la solidarietà fra Chiesa e mondo affermata nella frase di apertura della GetS, una solidarietà che ha bisogno di essere resa visibile, rafforzata e tutelata, perché la storia mostra quando facilmente essa possa infrangersi. È di grande importanza avere dei “segni” di non-separazione che camminano e parlano – segni di solidarietà i mezzo alla Chiesa –, per radicare questo principio in tutti. Poiché i diaconi hanno un ministero sacro, pubblicamente espresso nella liturgia, ed anche, quasi sempre, una professione secolare ed una vita coniugale e familiare, i diaconi richiamano a tutti che la Chiesa ed il mondo si appartengono reciprocamente. Anche questo punto è stato bene espresso dalla Commissione Fede e Ordine del Consiglio Mondiale delle Chiese nel 1982: “Lottando in nome di Cristo per i numerosissimi bisogni della società e della gente, i diaconi esemplificano l’interdipendenza del culto e del servizio nella vita ecclesiale”.
Finora, è stato prodotto un solo pronunciamento di accordo ecumenico sul tema del diaconato si tratta del Rapporto di Hannover della Commissione Internazionale Anglicano-Luterana, intitolato Il Diaconato come Opportunità Ecumenica (1996, nn. 28, 51, 22) . Questo apprezzabile testo rafforza quanto appena detto: “L’integrazione del culto e del servizio rimane un impegno per i vari ministeri diaconali della Chiesa”. Il ministero diaconale propriamente cerca non solo di mediare il servizio della chiesa a bisogni specifici, ma anche di farsi interprete di quei bisogni presso la Chiesa. Il ruolo “intermediario” del ministero diaconale, dunque, opera in entrambe le direzioni: dalla Chiesa ai bisogni, alle speranze e alle preoccupazioni delle persone dentro e fuori di essa; e da questi bisogni, speranze e preoccupazioni alla Chiesa.
Inoltre, quello che i diaconi fanno nella liturgia ed il modo in cui essi di relazionano in essa agli altri ministeri ecclesiali sarà significativo della loro attività e del loro relazionarsi in modo più ampio nel mondo. Proclamando il Vangelo, portando i doni del popolo e preparandoli perché il presidente possa offrirli nella celebrazione, e riportandoli poi consacrati al popolo nella comunione, i diaconi diventano segno della proclamazione della buona Novella e del servizio concreto ai fratelli e sorelle cui essi sono mandati nel mondo.
Il diacono partecipa al “ministero di Cristo Servo”, il quale ha dato la sua vita in “riscatto per molti” (Mt 20,28), e deve essere “una forza motrice per il servizio”, anche se il diacono non ha il monopolio del servizio: questa è la chiamata di ogni discepolo di Cristo. Proprio perché è la chiamata di tutti, però, è molto utile per tutti avere accanto coloro che sono specificatamente impegnati in una profonda configurazione di sé a Cristo Servo, persone che possono porsi come esempi e segni di richiamo per tutti di ciò che veramente dobbiamo essere. È molto incoraggiante scoprire che, pur divergendo in molte altre cose tutte le principali tradizioni cristiane hanno tuttavia dei diaconi.
Fondamentalmente la Chiesa esiste per amare il mondo e porsi al servizio della sua salvezza. Dobbiamo protendere lo sguardo fuori, ai bisogni del mondo, senza dimenticare mai che “l’oggetto della diaconia di Cristo è l’umanità”. La Chiesa continua ad essere “segno e strumento” della diaconia di Cristo nella storia, e il diacono è il segno e lo strumento di questa diaconia nella Chiesa. Come segno dell’amore di Cristo soprattutto per i poveri e i bisognosi, infatti, i diaconi sono costantemente chiamati a preoccuparsi del senso della vita dell’uomo in qualsiasi condizione egli venga a trovarsi.
Bisogna lavorare con tutte le nostre forze per rendere la città degli uomini dignitosa ed abitabile, accogliente e fraterna per tutti. Ma è soprattutto nei poveri che la storia mostra di non essere ancora umanizzata; sono loro, dunque, i destinatari privilegiati del nostro servizio. «I poveri li avrete sempre con voi» (Gv 12,8).
Lui, il Povero, torna al Padre, lascia al mondo i poveri come giudizio sul futuro della storia. «Non sempre avrete me: ma i poveri li avrete sempre» (Gv 12,8).
Sappiamo che la pro­messa e l'attesa di ogni epoca è la pace, come regno di giustizia e di fraternità, che sconfina nella uto­pia di tutti i tempi. Ma oggi siamo a un punto particolare della storia in cui l'utopia, per non rovesciarsi ancor più velocemente in beffa e inganno, deve farsi “profezia”: la pace deve essere l'avvenire dei poveri.
Se la pace non è prevista, voluta, costruita come svilup­po e pienezza di vita umana — e gli ultimi sono i primi che vanno chiamati al banchetto della vita — essa sfocerà sem­pre nella corsa fatale al benessere assicurato e il benessere scatenerà la contesa mondiale tra uomini sazi e frustrati e uomini miserabili e umiliati. Dove sta la pace in un futuro nel quale la ingiustizia, la fame, la miseria, la ignoranza preannunciano una guer­ra permanentemente programmata e legalizzata dai popoli ricchi contro i popoli poveri? Allora non basta più rifiutarsi al dovere di uccidere con la guerra: ormai bisogna opporsi alla pace che uccide.
La nostra civiltà ha riempito la terra di beni eppure non ha impedito che l'umanità viva in un deserto di paura e di violenza. È necessario allora che riascoltiamo la Parola che viene dal deserto: «Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). È la sapienza del Povero il quale «salì sul monte e cosi parlò: Non potete servire a Dio e al Denaro. Perciò vi di­co: non inquietatevi, per la vostra vita, di che mangerete e di che berrete: né per il vostro corpo, di che vestirete. La vita non vale forse più del cibo, e il corpo più del vestito?» (Mt 6,25).
In questa antica pagina già è fissata «la gerarchia dei valori»: cibo, vestito, corpo, vita. Infatti cosa vale posse­dere un corpo nutrito e vestito se poi non vive? Ma quale è il «pane della vita» se non la verità, la giustizia, la liber­tà, l'amore, cioè la Parola che esce dalla bocca di Dio?
Anche il nostro secolo non sfugge alla tentazione di «af­fannarsi dietro molte cose» e trascurare «la sola cosa ne­cessaria» (Lc 10,41). Sta avvilendo e spegnendo la digni­tà della vita umana attraverso la corsa irrazionale ai consumi e l'istupidimento della pubblicità. Vi­cino alla società della opulenza si dilata l'umanità della fame. Allora bisogna mangiare la Parola per saper dividere il Pane. La nostra è tutta una umanità affamata: manca di pane perché denutrita di sapienza.
Non capiremo mai nulla dei poveri se non scopriremo il «mistero» della povertà. L'indigenza materiale degli altri non è che la rivelazione della nostra indigenza spirituale.
La povertà secondo il Vangelo è davvero una virtù del Regno di Dio: è sapienza e forza. Non solo dona il distac­co liberatore da tutto quanto non può divenire spazio e respiro di una autentica personalità; dona anche la capa­cità di resistere alla seduzione demoniaca delle conquiste umane («se mi adorerai, tutto sarà tuo») per assoggettarle alla legge della vita che cresce nella storia. Non è solo una virtù «interiore»: deve tradursi in virtù «politica».
Così i poveri della terra oggi ci costringono — ma è an­che il loro dono — a capire e accettare la povertà come scelta storica che discrimina tutte le altre scelte. Non si tratta di annientare i poveri ma di liberarli, vale a dire «onorarli», ponendo noi con loro nel­la condizione di raggiungere la comune dignità umana. La miseria va annientata per conquistare insieme la grandez­za della povertà.
Pane e vino sono il simbolo eucaristico di tutta la crea­zione e insieme di tutta la fatica e il dramma storico della umanità. Nel pane e nel vino segretamente converge la inesauribile fecondità di ogni creatura.
Allora nel pane e nel vino che vengono innalzati sopra la comunità orante e offerti al Padre, si proclama la di­gnità inviolabile e la grandezza insostituibile di ogni uomo-figlio di Dio, il quale ha il diritto di ricevere il dono di ogni creatura perché ha il dovere di collaborare a moltiplicare ogni dono per la gioia e la festa di tutti i fratelli.
L'eucaristia è il nutrimento che sempre da capo ci rico­struisce come uomini salvati e liberati, perché dentro la storia di tutti testimoniamo e operiamo la salvezza e la liberazione pasquale.
Il Crocifisso è l'uomo nuovo. È il povero, il mansueto che ha fame e sete di giustizia, il misericordioso, il perse­guitato a causa della giustizia, colui che fa la pace.
Nel ban­chetto eucaristico si danno appuntamento tutte le mense che Cristo in mezzo agli uomini ha voluto frequentare, condividere, imbandire. È la mensa degli amici Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva. È la mensa dell'amore, dello sposalizio a Cana di Galilea. La mensa dei peccatori. Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua. La mensa degli esclusi. Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici invita i poveri, stor­pi, zoppi, ciechi e sarai beato perché non hanno da ricam­biarti...Infine è la mensa del regno. Io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.
Celebrare l'eucaristia allora è scuola di sapienza: beatitudine evangelica è fare eucaristia nella vita e nella storia. Ogni giorno si constata che questa storia delude sempre, che questa libertà mai riesce a spezzare le catene delle schiavitù. Il futuro diventa impossibile. La storia non cambierà mai perché è solo un ingra­naggio fatale di schiavitù. Così ci si installa nella sfiducia o nella disperazione che sono il suicidio della speranza.
Dio cammina con noi verso il futuro e insieme ci vie­ne incontro con i poveri, con coloro che cerca­no verità, giustizia, libertà. Egli nel «suo giorno» darà pienez­za al futuro: «Beati voi poveri, perché di voi è il regno».
La speranza non è aspettare ma anticipare. I poveri so­no coloro che hanno vinto e continuamente vincono la idolatria delle cose; della libertà, del potere. Dentro, co­me dice Bernanos, essi portano «il segreto della speran­za». Il futuro è veramente Dio che viene attraverso la no­stra povertà.
Allora, il ministero diaconale può illuminare di senso nuovo anche le attività della “città terrena. Qualunque sia il ruolo di ciascuno di noi nel contesto sociale, dunque, dobbiamo essere sempre un segno vivo della “cura di Dio” per l’umanità. La carità spinge i diaconi, ordinati per il servizio al Signore e ai fratelli, a leggere i segni dei tempi e le sfide dell’oggi con occhi aperti, orecchi attenti, cuore pronto e mani protese a cercare, raggiungere, incontrare e servire i fratelli. Le diverse esperienze di evangelizzazione della fragilità umana, anche grazie all'apporto … dei diaconi permanenti, danno forma a un ricco patrimonio di umanità e di condivisione, che esprime la fantasia della carità e la sollecitudine della Chiesa verso ogni uomo, soprattutto i più poveri. (Nota past. CEI Convegno Verona, n. 12)
È la “nuova frontiera” della diaconia ministeriale. Un nuovo esodo, attraverso un difficile deserto, verso una nuova realizzazione pasquale, una nuova dimensione: “tornare ad essere nel mondo quello che l’anima è nel corpo”, co­me dice la lettera a Diogneto.
La celebrazione dell'Eucaristia, soprattutto nel giorno del Signo­re, mentre continuamente modella la Chiesa a immagine di Cristo-Servo, continuamente la “giudica” e la spinge, con la forza dello Spi­rito, a coniugare insieme il servizio a Dio, quale autentico culto in spirito e verità, e il servizio all'uomo come impegno teso all'integrale promozione della persona e della società.
Proprio in quanto celebrazione “epifania” di una Chiesa tutta ministeriale, l'Eucaristia deve spingere a favorire la diaconia di tutto il popolo di Dio, nella diversità e complementarietà dei ministeri su­scitati al suo seno dallo Spirito, come pure nella molteplicità dei set­tori d'impegno in cui la missione della Chiesa è chiamata, oggi so­prattutto, a compiersi.
Apriamo allora l'intelligenza della nostra fede perché la consape­volezza e la conoscenza del mistero che celebriamo ci guidino alla partecipazione e alla condivisione del mistero che viviamo del servi­zio di Dio e dell'uomo.
Il cammino che ci attende è ancora lungo l'opera instancabile di noi tutti sia ri­volta nel promuovere con passione, efficacia e fecondità la diaconia nella Chiesa: camminiamo verso il futuro con gioiosa speranza. Il messaggio di fiducia dei vescovi italiani dopo Verona «si indirizza alle famiglie, ai fedeli laici, ai presbiteri e ai diaconi, ai consacrati, ai missionari. Sono queste le "pietre vive" della speranza, poste dal Signore come segnali indicatori sulla strada verso un'umanità nuova». (Nota past. CEI Convegno Verona, n. 30).
*Presidente Comunità del diaconato in Italia